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Oscar 2008, chi ha vinto

Author: Lorenzo

Non è un paese per vecchi: nella serata dell’80ma edizione degli Oscar il miglior film del 2007 è quello dei fratelli Coen, tratto dal romanzo di Cormac McCarthy. Una storia ambientata nel 1980 con un uomo disperato, in fuga con due milioni di dollari, e un killer spietato che gli da la caccia.

Joel e Ethan Coen, che hanno scritto, diretto e montato, si sono aggiudicati tre statuette “personali”: oltre alla miglior pellicola, anche quella per la regia e per la sceneggiatura non originale. A questo proposito, Joel ha fatto notare con sarcasmo che “il successo è dovuto al fatto che siamo così tanto selettivi nelle scelte. Abbiamo adattato solo Omero (per Fratello dove sei? , ndr) e Cormac McCarthy”.

Non accadeva che una coppia di registi vincesse l’Oscar dai tempi di West Side Story, nel ’61, con Robert Wise e Jerome Robbins.

Hollywood quindi rende omaggio ad autori di talento, a loro modo anticonformisti, cinefili e amanti di atmosfere tese ma striate di ironia. Di stanza a New York e un po’ fuori dal giro istituzionale, un loro film, Fargo del ’96, aveva vinto un Oscar per la migliore attrice. Quello del Kodak Theatre è il riconoscimento al loro lavoro rigoroso, alla vena ironica e l’esecuzione impeccabile.

I migliori attori
Trionfando in una serata senza un vero padrone – con diversi premi importanti andati ad autori e artisti europei o “non hollywoodiani” - Non è un paese per vecchi somma anche l’Oscar del miglior attore non protagonista per Javier Bardem, killer pettinato come un paggio, terribile e metodico con la sua arma ad aria compressa. L’attore spagnolo, che ha ringraziato i Coen per la “pazzia” che hanno dimostrato scegliendolo, è il primo di lingua spagnola (sebbene reciti in inglese) a conquistare un riconoscimento così importante. I giornali del suo paese parlano di “giornata storica”.

Nessuno della cinquina dei migliori film nominati se ne va a casa senza una statuetta. Il Petroliere di Paul Thomas Anderson, che pure aveva fatto incetta di nomination, si aggiudica l’Oscar per la fotografia ora oscura e claustrofobica ora di grande respiro di Robert Elswit e quello per l’attore protagonista a Daniel Day-Lewis, che già aveva vinto nel 1990 per Il mio piede sinistro di Jim Sheridan. L’attore inglese, da cinque anni lontano dal set, ha messo tutti d’accordo con la sua potente interpretazione di un petroliere avido e senza scrupoli.

Assolutamente mimetica nell’impersonare Edith Piaf, Marion Cotillard, parigina classe 1975, ha ricevuto l'Oscar per la miglior attrice protagonista per La vie en rose di Olivier Dahan, film dedicato alla vita di quella cantante grande e sfortunata. Ha avuto parole di ringraziamento e sorpresa: “Grazie Olivier Dahan, ciò che hai fatto mi hai davvero sconvolto la vita. Grazie alla vita e grazia all'amore. Davvero ci sono gli angeli in questa città”.

Dei golden-five faceva parte anche Michael Clayton: il thriller giudiziario di Tony Gillroy si è aggiudicato l’Oscar per la migliore attrice non protagonista a Tilda Swinson, avvocato gelido e controllatissimo che affrontava George Clooney, anche lui candidato come miglior attore. L’attrice inglese ha dedicato il premio al suo agente. Le altre categorie


Quanto a Espiazione, si è dovuto accontentare del premio per la migliore colonna sonora, andato all’italiano Dario Marianelli. Il compositore italiano, consacrato dopo vari importanti lavori ha detto di sentirsi “un uomo molto fortunato. Ho potuto far parte di un gruppo fantastico di persone. Sono molto grato ai buoni amici che mi hanno sostenuto e soprattutto a mio padre e mia madre per avermi trasmesso un grandissimo amore per la musica”.

Per l’Italia doppia soddisfazione: l’Oscar per la migliore scenografia alla coppia Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo. Non nuovi all’impresa (avevano vinto per The Aviator di Martin Scorsese), i due artisti stavolta avevano ricreato negli studi inglesi di Pinewood una Londra funerea e remota per il musical dark Sweeney Todd di Tim Burton.

Infine Juno, il titolo sposato da diversi critici per la freschezza, la tenerezza e l’agilità del racconto. La commedia agrodolce di Jason Reitman, con una Ellen Page sedicenne (l’attrice 21enne era anche candidata nella sua categoria), che rimane incinta e deve decidere che farne, conquista un importante Oscar per la sceneggiatura originale della 29enne Diablo Cody, scrittrice ormai in pieno lancio a Hollywood. Caustica, diretta, divertente, è una delle vere scoperte della stagione e stuzzica l’immaginario dei media con i tatuaggi, lo strano modo di vestire e un passato da spogliarellista.

Come previsto, miglior film d’animazione è stato Ratatouille di Brad Bird, della scuderia Disney-Pixar. Tra i film stranieri vince Il Falsario di Stefan Ruzowitzky, primo Oscar che raggiunge le montagne dell’ Austria.

Quanto ai documentari, quest’anno partecipava ancora Michael Moore con Sicko, la sua inchiesta sulla sanità Usa. Vince però Taxi to the Dark side di Alex Gibney e Eva Orner, che racconta un caso di tortura di un prigioniero afgano nella base militare americana di Abu Ghraib. Quattro quinti della categoria erano opere dedicate al tema della guerra. Che si trattasse di bambini ugandesi che si salvano dalla mattanza imparando a suonare o di duri atti d’accusa all’amministrazione Bush per come ha condotto la guerra in Irak.

Premio per i migliori costumi a Elizabeth, The golden age, gli effetti visivi a Michael Fink, Bill Westenhofer, Ben Morris e Trevor Wood per il fantasy La bussola d'oro. Il brano "Falling Slowly" di Glen Hansard e Marketa Irglova, dal film Once vince come miglior canzone originale. L'Oscar per il miglior make-up a La vie en rose. Ad aggiudicarsi due statuette, per il miglior montaggio e per il suono, il thriller The Bourne ultimatum.

Nel tradizionale omaggio agli artisti del cinema scomparsi durante l'anno, al Kodak Theatre si sono ricordati due grandissimi maestri, Michelangelo Antonioni e Ingmar Bergman. E poi l’attrice Deborah Kerr e, in chiusura, Heath Ledger, l’ultimo e più giovane. Tra le dimenticanze quella di Ulrich Muehe, straordinario attore del film premio Oscar l’anno scorso La vita degli altri di Florian Henckel-Donnersmarck.

La cerimonia
Annunciata come una domenica pomeriggio piovosa su Los Angeles e il red carpet antistante il Kodak Theatre, per precauzione era stata costruita una copertura trasparente fino all'Hollywood Boulevard, dove arrivavano le star per il lungo passaggio fino all’entrata. Che poi è il momento del forsennato product placement: gli stilisti per giorni annunciano chi vestiranno. Un’ azienda di scarpe cosentina, per esempio, si è fregiata di essere calzata da George Clooney e dal governatore californiano Arnold Schwarznegher. In perfetta par condicio.

Allontanate in tempo anche le nuvole di uno sciopero degli sceneggiatori mai così duro e soprattutto compatto, con le facce celebri accanto a chi per loro scrive le battute. Alla fine è rientrato due settimane prima del giorno X. Gli Studios hanno ceduto e pagheranno alle “penne“ anche i diritti di sfruttamento sui nuovi supporti, internet e telefonini compresi. Segno dei tempi: la fabbrica dei sogni è solo l’involucro di un’industria prodigiosa, che produce più Pil di un piccolo stato. E infatti Gil Cates, il produttore della cerimonia degli Oscar, che aveva organizzato anche una “cerimonia alternativa” senza nomi celebri, ha sempre ostentava tranquillità: il boicottaggio degli attori "non sarebbe stata la fine del mondo. Solo 4 dei 24 premi della serata sono consegnati ad attori”.

Ha presentato la serata Jon Stewart, un comico famoso per le sue stoccate alla politica. Guardando al pubblico di stars, che avevano minacciato di boicottare la cerimonia, ha iniziato a canzonarli: “Siete qui, non ci posso credere, siete proprio qui!”. Poi commentando la sfida alla nomination democratica tra Barak Obama e Hillary Clinton, ha scherzato: “In genere quando vedi un nero o una donna presidente, devi aspettarti che un asteroide sta per distruggere la Statua della libertà”.

Nel complesso si è trattato di una cinquina di film di grande qualità ma poco appassionante per il grande pubblico Usa. Nessuno dei titoli è stato un successo di stagione, tranne Juno, che ha incassato 130 milioni. Ha fatto meglio di tutti ed è ancora nelle sale americane. In Italia arriverà a breve. Tutti insieme hanno incassato 327 milioni, 111 dopo le nominations, che danno una bella spinta.

Tutto questo per dire che non c’era un’attesa molto viva per la sfida, che vedeva affrontarsi film indipendenti, dicersi attori giovani e sconosciuti e aveva lasciato fuori dalla gara stars come Julia Roberts, Denzel Washington, Angiolina Jolie e Brad Pitt.

Quanto all’appeal televisivo, sta calando progressivamente: l’ABC per trasmettere lo show paga 80 milioni di dollari e gli ascolti non sono più quelli del record dell’98 con Titanic. Dopo quei 55 milioni di spettatori, adesso si fluttua intorno ai 40. Vedremo quest’anno com’è andato il cinema in televisione.

 

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